La leggenda delle Teste di Moro rappresenta una delle storie più importanti della cultura siciliana. Le Teste di Moro sono dei vasi di ceramica realizzati da mastri artigiani e decorati in vari modi, dai più semplici ai più complessi. Tali vasi possono essere di svariate misure e vengono solitamente impiegati come ornamento per giardini e balconi oppure possono essere utilizzati come arredamento da interni. Come dice appunto il nome, raffigurano il volto di un uomo e di una donna, protagonisti di una leggenda molto antica che affonda le sue radici nella storia siciliana.
La vita ai tempi della dominazione araba in Sicilia
La leggenda delle Teste di Moro racconta una tragica storia d’amore che si consumò intorno al 1100 d.C., nel periodo della dominazione araba in Sicilia.
In quegli anni viveva a Palermo, nel quartiere chiamato Kalsa, una bellissima fanciulla formosa, alta, con lunghi capelli neri ed occhi castani. La giovane trascorreva le sue giornate in casa, dedicandosi con passione alla cura delle piante e dei fiori esposti sul suo balcone. I suoi genitori le vietarono di uscire di casa senza di loro, timorosi che la sua bellezza accendesse le fantasie di qualche soldato musulmano. Infatti, dato che i matrimoni tra siciliani (che praticavano la religione cristiana) e arabi (di religione musulmana) erano proibiti, non mancavano occasioni che i soldati arabi insidiassero le giovani donne siciliane per capriccio e per lussuria.
Passione a prima vista
Un giorno di primavera, mentre la giovane era intenta alla cura del suo basilico, passò proprio sotto il suo balcone un giovane ed affascinante capitano moro, con capelli neri ed occhi azzurri. Appena il milite si accorse della giovane affacciata al balcone si invaghi perdutamente di lei. Da quell’incontro, non mancò occasione che il soldato si trovasse “casualmente” a passare dal quartiere della Kalsa per ammirare la fanciulla. Anche lei finalmente si accorse di lui, iniziando a provare un sentimento di gioia e di forte passione, ogni volta che i loro sguardi si incrociavano.
Un bel mattino, mentre i genitori della ragazza erano fuori casa per andare a gestire la loro bottega, il soldato si prese di coraggio e bussò alla sua porta. Lei aprì e, senza esitare, invitò il moro a salire nelle sue stanze, così che i due potessero consumare la loro passione in segreto.
La relazione clandestina continuò per diversi giorni, finché una notte, non si sa in che modo, la giovane venne a sapere che il suo amante, nella terra natia in oriente, aveva già una famiglia e dei figli, ma era solito trascorrere ore di piacere con varie donne della città per divertimento.
La fanciulla provò una rabbia ed un dolore così forti nel comprendere che era stata usata e che di lì a poco avrebbe perso il suo amore, che decise di vendicarsi.
La tragedia della vendetta
Il giorno dopo, quando il giovane moro andò a trovarla, dopo aver consumato il loro momento segreto di passione, la fanciulla attese il momento in cui lui si fosse addormentato. Senza fare rumore, gli sfilò delicatamente la scimitarra dal fodero e con un colpo gli staccò di netto la testa. La fanciulla, nonostante il gesto, volle però che in qualche modo il suo amore restasse legato per sempre a lei. Così, dopo aver pulito ed imbalsamato la sua testa, se ne servì come vaso per il suo basilico e lo espose sul suo balcone.
Lieto fine?
Qualche giorno più tardi, il califfo si accorse che uno dei suoi uomini era scomparso dalla circolazione e decise di inviare ad indagare il capitano delle sue guardie. Questi iniziò le sue ricerche dall’ultimo posto in cui venne visto il giovane soldato, cioè nel quartiere della Kalsa. Setacciò la zona in lungo e in largo finché il suo sguardo si posò su di un balcone, dove tra i vasi svettava la testa di un soldato che conosceva molto bene. Furioso, il capitano bussò alla porta della fanciulla per chiedere spiegazione per quello che aveva visto. Con il volto pallido e triste, la ragazza aprì la porta e lo condusse nelle sue camere, raccontandogli la sua tragica storia d’amore, fino a raggiungere il balcone dove ormai la testa del soldato moro accoglieva al suo interno una rigogliosa pianta di basilico.
Il capitano trovò imperdonabile un simile gesto di ribellione e, a sua volta, per punizione, con un colpo di scimitarra decapitò la giovane senza mostrare esitazione. Poco dopo, stranamente impietosito da quella storia d’amore così tragica, decise di utilizzare la testa della giovane come questa fece col suo amante defunto, ponendogliela proprio accanto, in modo che nessuno avrebbe li avrebbe più separati.
Si dice che gli abitanti di Palermo, vedendo il basilico crescere così rigoglioso da quei vasi a forma di testa ed invidiosi della loro bellezza, fecero realizzare dagli artigiani dei vasi di ceramica simili per ospitare le loro piante ed arricchire artisticamente le loro dimore. Così, i vasi della leggenda delle Teste di Moro divennero una tradizione dell’isola e un simbolo dell’amore che non dev’essere tradito.